Bambini che schiamazzavano e correvano al parco, totalmente ignari dell’inferno che li aspettava: lavori monotoni e mutui esorbitanti e matrimoni sbagliati, calvizie, protesi all’anca, solitarie tazze di caffè in una casa vuota e una sacca per colostomia in ospedale.
La maggior parte delle persone sembravano soddisfatte della sottile patina ornamentale e del sapiente gioco di luci che, di tanto in tanto, facevano apparire più misteriosa o meno ripugnante la sostanziale atrocità della condizione umana.
La gente scommetteva, giocava a golf, curava giardini, comprava e vendeva azioni, faceva sesso, acquistava macchine nuove, faceva yoga, lavorava, pregava, riarredava casa, andava in ansia per le notizie al telegiornale, si preoccupava per i figli, spettegolava sui vicini, studiava attentamente le recensioni dei ristoranti, fondava associazioni di beneficenza, sosteneva candidati politici, andava a vedere gli US Open, usciva a cena, viaggiava e cercava di distrarsi con ogni sorta di congegno o di accessorio, lasciandosi continuamente sommergere da un torrente di informazioni, messaggi, comunicazioni e forme d’intrattenimento provenienti da ogni direzione, tutto solo per tentare di dimenticare: dove eravamo, cosa eravamo.
Ma sotto una luce intensa, non c’era modo di vedere le cose da una prospettiva confortante.
Tutto era marcio, dall’inizio alla fine: passavi buona parte del tuo tempo in ufficio, sfornavi diligentemente i tuoi due figli e mezzo di media, sorridevi con garbo alla tua festa di pensionamento e poi finivi a masticare le lenzuola e a strozzarti con le pesche sciroppate in una casa di riposo.
Sarebbe stato meglio non essere mai nati – non aver mai desiderato nulla, non aver mai sperato niente.
Riflessioni tratte dal libro "Il Cardellino" di Donna Tartt
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