Io non ho mai smesso di considerarmi più intelligente di tutti e, qualche volta, credetemi, me ne sono sentito un po' imbarazzato.

Saturday, April 17, 2021

Un famoso antinatalista ci racconta...

 Pangea

 Léon Bonnat, “Job”, 1880

David Benatar (8 dicembre 1966) è un filosofo e scrittore sudafricano. Benatar è noto principalmente per le sue idee legate all'antinatalismo, poiché pensa che mettere al mondo figli sia sempre sbagliato.

Secondo il filosofo imporre ad altri un danno è cosa moralmente sbagliata e va evitata. Poiché la nascita di una nuova persona comporta sempre un danno a quella persona vi è l'imperativo morale a non procreare. La sua argomentazione è basata sui seguenti concetti: La presenza del dolore è male. La presenza del piacere è bene. L'assenza del dolore è bene, anche se di questo bene non ne gode nessuno. L'assenza di piacere non è male a meno che non ci sia qualcuno per il quale questa assenza è una privazion.

Emile Cioran scriveva negli anni ’70 del secolo scorso “L’inconveniente di essere nati”, un testo nel quale affermava, già nel titolo, che nascere non è un bene, “non conviene”.
Poco meno di cinquant’anni dopo, il filosofo sudafricano David Benatar, direttore del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Città del Capo, ha pubblicato “Meglio non essere mai nati. Il dolore di venire al mondo”, nel quale analogamente sostiene che venire al mondo è un grave male, essendo l’esistenza la condizione abilitante di ogni male.

Benatar afferma che l’atteggiamento più corretto da assumere verso i temi esistenziali è un pessimismo pratico che equivale a un semplice “realismo”, e non a un nichilismo incondizionato.
Essere pessimisti, senza indugiare in modo ossessivo sui pensieri negativi, consente di vivere in modo positivo i momenti di ristoro dalle tempeste della vita senza peraltro perdere di vista che il tono di fondo dell’esistenza è tutt’altro che positivo.

Al contrario, pensare in modo ottimistico può essere ‘pericoloso’ perché comporterebbe la perpetrazione dell’illusione che una buona vita sia tutto sommato raggiungibile, se non ora in futuro, se non da noi da qualcun altro.
Questa illusione, a sua volta, alimenterebbe il desiderio procreativo che alberga in molti esseri umani e prolungherebbe le sofferenze di una specie che potrebbe, attraverso la desistenza procreativa mettere fine ai suoi tormenti.

Il disincanto radicale è un tratto fondamentale nella filosofia del sudafricano, una filosofia scomoda, nient’affatto consolatoria che, di fronte alle rimostranze di chi dovesse rivendicare il diritto di illudersi alimentando la propria capacità di lenire le sofferenze volgendo lo sguardo altrove, Benatar risponde che l’illusione non rappresenta solo un male per colui che si illude ma anche per coloro i quali sono i frutti dell’illusione: la progenie.

 

Nonostante il fatto che anche le migliori vite, considerate nel loro complesso, contengano più male che bene, e contrariamente a quanto sostengono gli epicurei per i quali la morte sarebbe un male solo se ci fossero sensazioni ad essa associate, per Benatar anche la morte è un male, perché ci priva dei beni di cui avremmo potuto godere se fossimo vissuti di più, e, soprattutto, perché ci annichilisce per l’eternità.

Infine, se anche la morte è un male, il suicidio non può essere la soluzione, pur se in alcune situazioni può rappresentare un male minore.
Qui Benatar ricollega il tema del suicidio a quello della qualità della vita.
Se, infatti, la qualità della vita è scadente anche nelle vite migliori, allora il suicidio potrebbe essere una soluzione da prendere in considerazione in alcuni casi.

 

 

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